Simone fracassi macellaio in Rassina, Piazza Mazzini 24, quando parla di maiale di cinta senese o di chianina assume un’aria sacerdotale.
Mi piace definirlo un monaco della bottega, quando si aggira tra il banco o il frigo, quando solleva un quarto di maiale o, un costato di chinina; compie sempre gesti pacati, direi rituali. Agli amici quando interrompe una partita a carte dice: vado a badare ai miei figlioli, ovviamente si riferisce ai prosciutti di cinta senese che stagionano nella sua bottega, che va a massaggiare un paio di volte a settimana.
La sua è una di quelle macellerie toscane tradizionali, non di quelle divenute famose perché hanno assunto l’aspetto di un’attrazione turistica o che sono punto di ritrovo di americani con pantaloni alla pinocchietto o di giapponesi intenti a fotografare ogni singolo taglio di carne. Simone ti accoglie semplicemente, dietro il banco; al massimo si sporge allungando una mano per offrirti qualcosa da assaggiare, come facevano gli antichi trincianti con i loro signori.
Simone è un vero appassionato della sua materia, tratta suini e bovini come se fossero un mezzo di comunicazione trascendente che dalla terra porta verso la divinità. Studia quotidianamente e va a curiosare un po’ in tutto il territorio, alla ricerca di animali allevati come vuole lui nel rispetto delle caratteristiche della razza, idonee alla lavorazione eccellente che è tipicamente sua.
La macelleria di Rassina offre, come abbiamo detto, carne fresca e insaccati unicamente di produzione propria; la sua tradizione di famiglia non è tradita, quella di Simone è la quarta generazione. A chi gli parla di uniformità dei sapori, di trovare lo stesso gusto in un prosciutto che sia toscano o umbro o in una bistecca di chinina e una di piemontese obbietta che la tradizione del territorio va rispettata. Filosofia questa da abbracciare totalmente, troppo spesso la società contemporanea si dimentica che il nostro paese è ricco di diversità ed ognuna va rispettata ed apprezzata. Il Fracassi offre il maiale, esclusivamante cinta senese, sempre allevato allo stato brado che si nutre del sottobosco del casentino; così che chi compra la carne da lui ci possa riconoscere non solo la Toscana ma proprio il Casentino.
È bello ascoltare dalla sua voce il racconto della differenza tra il prosciutto di Parma e quello toscano: nelle zone umide emiliane durante la stagionatura il sale tende a sciogliersi e penetra meno nella carne rispetto alle zone secche e più fredde delle colline toscane.
Il racconto risale ai tempi antichi e l’elogio di Simone per il maiale prosegue, gli si illuminano gli occhi quando descrive come il maiale era l’animale che poteva vivere in casa, quasi come se fosse un animale da compagnia, perché ricicla: cioè consuma tutto ciò che è scarto alimentare, e a sua volta dopo essere stato macellato dona tutte le sue parti, pronte ad essere insaccate o da consumare fresche.
Dove ci si potrebbe scontrare con Simone è solo sull’utilizzo indistinto del rigatino (pancetta stesa fuori dalla toscana) e il guanciale (gota per i toscani), ma siamo amici e sorvoliamo.
Uno dei punti fermi di Simone, di qualunque carne si parli sia bovina sia suina, è la marezzatura: cioè le infiltrazioni di grasso nel magro che il taglio di carne presenta, quella troppo magra non può essere una carne eccellente, in questo è difficile dissentire.
Il maiale di cinta senese è sicuramente una delle passioni di Simone, animale allevato assolutamente allo stato brado, che per raggiungere il peso di cento ottanta chili impiega due anni, contro i pochi mesi di quelli allevati in batteria, le sue carni sono grasse e saporite che si differenziano notevolmente da quelle dei rosa.
Chiedere a Simone quale parte egli preferisca del maiale è a dir poco inutile, risponderà sempre la coppa, per i non toscani il capocollo cioè la parte che unisce la testa al resto del corpo. Questo taglio, sia esso stagionato o fresco, possiede la giusta combinazione di grasso e magro, è la parte che l’animale ha mosso di più e quindi il muscolo è forte non fibroso e molto saporito, mentre il grasso dona quella morbidezza necessaria e rendere la carne tenera alla degustazione, queste caratteristiche sono quelle che distinguono le carni del maiale di cinta senese da quelle delle altre razze.
L’altra grande passione di Simone è la chinina, questo maestoso bovino di razza autoctona è oggi tra le più apprezzate dai buon gustai. La chinina nei secoli è stata allevata come animale da lavoro, solo da una sessantina di anni le sue carni vengono trasformate in meravigliosi manicaretti.
Questo bovino esprime il meglio anche in quei tagli meno nobili, quindi ideale anche per un uso quotidiano senza troppa variazione di prezzo rispetto le altre razze più diffuse, non esiste solo la bistecca alla fiorentina, da provare il succulento bollito o il saporitissimo spezzatino.
La particolarità di queste carni sta nel fatto che essendo razza da lavoro, e nonostante la sua naturale copertina di grasso, abbatte il colesterolo fino al sessanta per cento rispetto alle carni di altre razze bovine allevate a scopo alimentare.
Il sistema di allevamento di questi bovini è quasi totalmente a pascolo per buona parte dell’anno, c’è da dire che oggi l’allevamento di questa razza si sta diffondendo anche fuori dai confini toscani; esistono ottimi allevatori sia in Umbria che nel Lazio, ma Simone preferisce selezionare i bovini degli allevamenti del suo territorio: quelli tra le montagne del casentino.
Marco M. Rossetti
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